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IL BUGIARDO

  • Immagine del redattore: foglia grafica ventodistrada
    foglia grafica ventodistrada
  • 16 mar 2016
  • Tempo di lettura: 2 min

La vecchia storia di Pierino e il lupo. E pure chi la fa l'aspetti. Per non parlare di specchietto-riflettente-parli-parli-e-non-sai-niente . La parabola del buguardo bacchettone, tenero e un po' ottuso si è rappresentata ancora una volta, a Chieri tra le quinte di un teatro

finalmente conquistato da parte dell'Accademia dei folli, partita dal sottoscala del Teatro della caduta, e oramai in fase di stabilizzazione nella nuova location, un teatro gradevole e piacevolmente borghese-post-moderno.

Al riparo dalle tempeste della globalizzazione, in un piccolo pantheon che sa di salotto e sembra coccolare come una vasca da bagno ovattata.

Non fiori ma opere di bene, però, al funerale dell'arte: bugiarda, la voglia di fare sesso, ha distratta con frivole chiacchiere. Ma questa volta sembra essere caduta sul piano arcobaleno una grande macchia di inchiostro nero che lentamente si spande come petrolio colato nel mare. Quindi niente ecologismo, ricerca interiore o effetti speciali capaci di far vibrare le corde dell'emozione.

Non per niente, forse, sono arrivata in ritardo, ho ottenuto che mi aprissero la porte con un urlo di rabbia e nonostante poi abbia cercato con attenzione un motivo per fidarmi e dare spazio a questa storia, non ho trovato altro che l'ombra beffarda dell'opera, non la sua rappresentazione. Come se il senso fosse stato fagocitato dalla patina apatica che sembrava avvolgere la "Melevisione" in cui Enrico Dusio, in questo caso il bugiardo, faceva la parte del principe azzurro. Quindi la solita storia: lo star business procede, ammettiamo pure che è anche bugiardo, ma non cerchiamo di capire... piuttosto dormiamo in piedi. Notatala proposta in questo caso. Niente colori o sapori ad ispirare una rigenerazione. Solo prosaica condanna di chi condanna il condannabile perché è condannato a non essere capito e quindi... Pop plastificato e un poco claustrofobico, velleità da feuilleton e scarso materiale per l'immaginario.

Alla fine la rinuncia è sembrata una liberazione, ma per il pubblico, non per il nostro eroe che non è riuscito a emergere dal labirinto delle proprie bugie, ma è rimasto inerme come un burattino tutto intento a non perdere la propria maschera. Per capire le ragioni della sua incertezza bisogna cercare in un'altra dimensione, insomma, ma sono lieta di aver finalmente conosciuto la trama di questo capriccio di Goldoni, capace di far meditare nonstante il fruscio dei più frivoli ventagli.


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